Trattativa Stato-mafia13 Gennaio 2011 Oggi faccio parlare due giornalisti, uno di Libero e uno del Corriere della Sera, i quali, suppongo, hanno partecipato alla  stessa udienza  nell’aula giudiziaria di Palermo e hanno udito le stesse parole e visto gli stessi protagonisti. Delle due l’una: o il giornalista di Libero, Chris Bonface,  s’è inventato tutto, o il giornalista del Corsera ha avuto dei crampi alle dita. Comincio dall’articolo di Libero: Data 12-01-2011 Processo Mori Sì, lo stato italiano cercò dì trattare la resa con la mafia all’epoca di Oscar Luigi Scalfaro presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi presidente del Consiglio, Nicola Manci Âno ministro dell’Interno e Giovanni Conso mi Ânistro della Giustizia, La rivelazione è arrivata ie Âri in un’aula di tribunale a Palermo da un testi Âmone di eccezione: il magistrato Alfonso Sabel Âla. attualmente in servizio al tribunale dì Roma. Chiamato a deporre al processo contro il gene Ârale dei carabinieri Mario Mori, Sabella ha ricor Âdato i suoi anni da pm a Palermo, quelli al Dap e soprattutto quelli alla procura dì Firenze quan Âdo collaborò con il pm della Dna Gabriele Chelazzi (oggi scomparso) all’inchiesta sulla tratta Âtiva fra Stato e mafia. Sabelli, che è uno dei ma Âgistrati più apprezzati dalle associazioni anti Âmafia, ha rivelato che Chelazzi era convinto che il generale Mori avesse avuto da organi dello Stato un mandato a trattare con i boss di Cosa Nostra. Secondo io stesso magistrato «io Stato, dopo le stragi del ’93, tentò di dare un segno di disponibilità a Cosa Nostra alleggerendo il numero dei boss sottoposti al regime carcerario duro pre Âvisto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario ». la deposizione di Sa Âbella è importante perché nonostante tutte le smentite, omissioni e parziali ri Âvelazioni sulla tratta Âtiva fra Stato e mafia sotto il governo Scalfaro – Ciampi, sta emergendo con chiarezza come al Âlora ci si arrese alle condizioni imposte da Cosa nostra. Secondo il ricordo di Sabella il suo col Âlega Chelazzi carpì qualche elemento per rico Âstruire questa oscura vicenda «da un incontro che si svolse fra il generale Mori e l’ex vicecapo del Dap Francesco Di Maggio ». Nel colloquio ci furono riferimenti espliciti alla direttiva gover Ânativa di trattare con i boss di Cosa Nostra. E il clamoroso risultato fu la liberazione dal giogo del carcere duro per oltre 130 boss mafiosi dell’Ucciardone e per centinaia di detenuti ma Âfiosi e camorristi nelle carceri campane. Fra i beneficiari vi furono alcuni dei protagonisti del Âle stragi del ’92 in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e perfino uno dei rapitori e barbari assassini (sciolsero il corpo nell’acido) del giovanissimo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino. A calarsi le braghe davanti a siffatti nobiluomini fu il tanto celebrato governo tecnico della fine della prima Repubblica, che oggi parte del Pd vorrebbe eri Âgere a modello per sostituire l’odiato Silvio Ber Âlusconi. Ma quel governo Ciampi co-diretto al Quirinale da Scalfaro, uno dei grandi moralisti della Repubblica, non solo invece di combatter Âla si arrese senza condizioni alla mafia, ma si è tenuto questo segreto per quasi due decenni. Fi Âno a quando chissà se per ingenuità o per ri Âmorso nel novembre scorso il quasi novantenne professore Conso ha deciso di rivelare i primi particolari di quel che accadde, sostenendo eli avere fatto tutto da solo senza informare nessu Âno, proprio per vedere se quella grazia concessa ai boss fosse in grado di salvare l’Italia da nuove stragi. La versione di Conso è stata ritenuta sia dalla commissione antimafia che lo ha ascoltato sia dai magistrati palermitani che hanno aperto una inchiesta, assai poco credibile. Proprio per questo i pm palermitani alla vigilia di Natale hanno interrogato per lunghe ore a Roma sia Ciampi che Scalfaro, segregando il contenuto di quei verbali. Questo invece è l’articolo apparso, sempre ieri, sul Corriere della Sera: CORRIERE DELLA SERA L’ex pm antimafia: carabinieri del Ros, metodi non limpidi DAL NOSTRO INVIATO PALERMO â— I carabinieri del Ros, il reparto d’eccellenza contro il crimine organizzato, avevano metodi d’indagine che non piacevano ai magistrati an Âtimafia di Palermo. Almeno ad alcuni. «Non riferivano mai quello che facevano, e questo provocò diffidenza », racconta l’ex pubblico ministero Alfonso Sabella, che nella seconda metà degli anni Novanta coordinò le ricerche dei principali latitanti di Cosa Nostra: «Non avevo mai il quadro completo della si Âtuazione, mentre le altre forze di polizia fornivano le notizie quasi in tempo reale ». Giovanni Bianconi Articoli correlati“Corte Costituzionale: “bizzarria” per Togliatti” di Francesco Perfetti. Qui. Da cui estraggo: “Durante la discussione generale sul progetto di Costituzione, Palmiro Togliatti parlò della istituenda Corte Costituzionale come di una «bizzarria », come di un «organo che non si sa cosa sia e grazie alla istituzione del quale degli illustri cittadini verrebbero a essere collocati al di sopra di tutte le assemblee e di tutto il sistema del parlamento e della democrazia, per essere giudici ».” Chiedono le dimissioni di Fini. Qui. “Azzoppato il legittimo impedimento L’ultima parola sul Cav resta ai giudici” di Francesco Maria Del Vigo. Qui. Letto 1798 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by Bonfanti — 13 Gennaio 2011 @ 11:12
Ognuno ha i crampi alle dita quando gli conviene. Chissà quanti ne avrà avuti lei sui processi Berlusconi, Previdi e Dell’Utri.
Quando si vuole pesano le parole dei giudici durante le udienze altre volte bisogna solo aspettare la sentenza definitiva prima di parlare.
Ognuno ha i suoi sports.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 13 Gennaio 2011 @ 13:27
Vede, Bonfanti, la mia attenzione sul tema fa seguito all’articolo che scrissi, qui.
Ormai sembra che Ciampi e Scalfaro sapessero della trattativa Stato-mafia (“non potevano non sapere”, ricorda?), ma in questo caso la testimonianza del magistrato Sabella, al tempo pm a Palermo, è notevole.
Il Corriere non può esimersi dal riportare una tale testimonianza.