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Vendere, vendere e ancora vendere

30 Settembre 2011

È l’invocazione rivolta ieri al governo da Giuliano Ferrara nella sua trasmissione Radio Londra.

Si riferisce alla vendita di quei beni dello Stato infruttuosi o dismessi, o addirittura in stato di abbandono.
Non posso che essere d’accordo. Addirittura tempo fa scrissi, come provocazione, che si sarebbe dovuto vendere perfino il Colosseo.

È la ricetta più antica del mondo, che ogni famiglia in difficoltà conosce e pratica, sia pure a malincuore.
Quando ci sono debiti a cui non riusciamo più a far fronte, si vendono i gioielli, se li abbiamo, e finanche la propria casa.

Stamani nella trasmissione Omnibus di Tv7, Rocco Buttiglione ha sostenuto che intraprendere questa strada non porterebbe gran che nelle casse dello Stato.
Forse alludeva al fatto che con il federalismo molti beni sono stati trasferiti dallo Stato alle regioni e ai comuni. Ma nel momento in cui lo Stato decidesse di vendere parte consistente del suo patrimonio, è chiaro che una decisione dello stesso tipo dovrebbe essere presa anche dagli Enti locali.
Se essi decidessero di non seguire l’esempio dello Stato, lo Stato potrebbe conteggiare il valore di quegli immobili e tenerne conto nel momento del trasferimento ad essi delle risorse.

Ferrara suggeriva opportunamente di mettere in vendita gli immobili insieme con una autorizzazione ad utilizzarli in un certo modo, così da invogliare all’acquisto.
Sono d’accordo, e sono convinto anch’io che molte aziende, soprattutto multinazionali, acquisterebbero volentieri in Italia, la quale ha molte potenzialità che noi italiani non siamo mai stati capaci di mettere a profitto.

Mi riferisco – e l’ho scritto altre volte – alle nostre bellezze naturali e artistiche che da sole, se ben valorizzate turisticamente, sarebbero in grado di azzerare gradualmente il nostro debito e consentirci di tornare ad essere una società sana e in grado di alimentare sviluppo ed efficienza.

Non ci si deve illudere che si possa uscire da questa crisi con manovre finanziarie tampone, come in buona sostanza sono state tutte quelle adottate finora.
Il debito pubblico si aggredisce in un modo solo, allo stesso modo che la famiglia aggredisce il proprio debito diventato troppo oneroso: vendendo i propri beni, a cominciare da quelli meno necessari.
Il debito pubblico è come il cancro, se non si estirpa provoca dolore, poi disperazione e infine conduce alla morte.

Vediamo cosa sta succedendo in Grecia, ma vediamo pure che cosa sta succedendo in Italia, dove si susseguono chiusure di aziende e licenziamenti. Intere famiglie si trovano sul lastrico e non intravvedono alcuna speranza di essere di nuovo inserite nel mondo produttivo.

La vendita selettiva del nostro patrimonio doveva essere disposta anni fa,  allorché l’allarme era già incominciato.
Ricordo quando in una riunione al mio paese intervenne per la sua campagna elettorale un senatore della Repubblica, che desiderava essere rieletto.
Nasceva allora il nostro debito, si trattava di una cifra davvero risibile. Glielo feci notare. Mi sembrava, gli dissi, un allarme. Ma lui mi rassicurò che tutto era sotto controllo. Diffidai, ma lui era sottosegretario alle Finanze, e provai a dargli fiducia.
Sappiamo come è andata a finire.

Il debito pubblico, come il cancro, ci sta divorando. Non ne usciremo mai, qualsiasi manovra adotteremo. Continueremo a determinare solo il peggioramento continuo della situazione: con nuove aziende che chiuderanno e nuovi dolorosi e inevitabili licenziamenti. Andremo sempre più in basso, sprofondando nelle sabbie mobili.

Dunque, come invoca Ferrara, vendere, vendere e vendere.


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Bart