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Volete una prova che Fini fa comodo all’opposizione?

31 Luglio 2010

Semplice e trasparente: il silenzio di essa sulla storia contorta della casa di Montecarlo, finita attraverso più società off-shore nella disponibilità del cognato di Fini, Gian Carlo Tulliani.

L’inchiesta aperta da Il Giornale dura da giorni e ogni volta vengono scoperte novità che rafforzano i sospetti che non si tratti di un’operazione genuina fatta alla luce del sole. Un gioco di scatole cinesi, invece.

Questa indagine, visto che coinvolge una persona che ricopre la terza carica dello Stato, dovrebbe interessare almeno i più importanti quotidiani nostrani, i quali, si sa, si nutrono di questi misteri, e ci si buttano a capofitto se c’è sentore di scoprire qualche magagna.

Ma questa volta no. Il Corriere della Sera e la Repubblica, hanno liquidato l’indagine in poche parole, dicendo che si tratta di spazzatura.

Non mi pare che si possa liquidare in questo modo un’indagine che è assistita da documenti molto concreti che mostrano quanto meno che si tratta di un’operazione sospetta meritevole di più di un approfondimento.
Eppure quei due quotidiani, e gli altri, compresa La Stampa, L’Unità, Il Fatto Quotidiano tacciono. A mio avviso colpevolmente.

Infatti, ove si trattasse di un’operazione sporca, che confligga con legalità e moralità, essa sarebbe ancora più grave perché coinvolgerebbe il presidente della Camera, ossia la terza carica dello Stato.

A mio avviso perfino il capo dello Stato dovrebbe convocare Fini e chiedere lumi. Fini non è un semplice parlamentare. È uomo eminente delle Istituzioni. Molti poteri sono attribuiti al presidente della Camera, tra cui quello previsto dall’art. 63, secondo comma: “Quando il parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l’Ufficio di presidenza sono quelli della camera dei deputatiâ€. Ossia egli presiede uno dei momenti più importanti della vita parlamentare, tra cui quello dell’elezione e del giuramento del capo dello Stato (artt. 83, 85, 91 della Costituzione). Ma anche quello della messa in stato d’accusa del capo dello Stato (art. 90), del presidente del Consiglio (artt. 55 e 96), dell’elezione dei membri del Consiglio superiore della magistratura per la quota di un terzo spettante al Parlamento, così pure per la quota di un terzo dei membri della Corte costituzionale.

Eppure Fini continua a tacere. Poteva benissimo parlarne ieri nella conferenza stampa. Oppure chiarire la sua posizione in Parlamento. Ma niente.

E l’opposizione? Il Pd e l’Idv, pronti a gettarsi come iene su chi è colpito da semplici sospetti, purché faccia parte del centrodestra,  fanno finta di non leggere Il Giornale.

Tacciono. E perché? Chiarissimo: oggi Fini è considerato il deus ex machina che sta facendo il lavoro che a loro non riesce, quello di creare il caos nel Pdl. E allora sarebbe da stupidi chiedergli di presentarsi in Parlamento a chiarire la sua posizione ed eventualmente a rassegnare le sue dimissioni.
Con Fini ridotto al ruolo di semplice deputato, e con il vento che tira, sanno bene che il loro beniamino sarebbe un politico senza futuro.

Invece noi cittadini vogliamo che sia fatta chiarezza, perché se eventualmente il paladino iscrittosi da un anno a testimonial della legalità e della questione morale, avesse lo zampino in questa che sembra una losca vicenda, egli non ha che una via d’uscita: quella delle dimissioni da presidente della Camera.

L’opposizione sbraita contro Verdini, Cosentino ed altri. Ma questa di Fini si tradurrebbe, se provata, in uno scandalo ed in una colpa assai più grandi, di alto profilo istituzionale. Ci pensi anche il Pdl a chiedere chiarimenti in Aula.

Intanto, ripeto, il capo dello Stato ha, a mio avviso, l’obbligo di convocare Fini e di ascoltare la sua versione dei fatti.

Poi Fini dovrà raccontarla anche a noi cittadini.

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“Gianfranco peggio di Silvio. Mi cacciò in cinque minuti” intervista di Nuccio Natoli a Francesco Storace. Qui, pag. 71.

“Metà dei finiani non voterà mai contro il Cavaliere” intervista di Gianmaria Roberti a Giorgio Stracquadanio. Qui, pag. 74.

“Per lui ci vuole il trattamento – Boffo” intervista de Il Fatto Quotidiano a Giorgio Stracquadanio. Qui, pag. 75. Da cui estraggo:

“Domanda: Non esiste la possibilità tecnica di una mozione di sfiducia, regolamento della Camera alla mano.
Risposta: E allora Fini ci doveva pensare quando sfiduciò la Pivetti, prima del ribaltone, chiedendole di dimettersi dalla presidenza della Camera!
(omissis)
Cosa?
C’è l’ipotesi Boffo.
Che c’entra Boffo?
C’entra, c’entra. Boffo si è dimesso da Avvenire per il martellamento de ll Giornale.
Su un’accusa di molestie! Ebbene, Fini ha questa strana consonanza con i dipietristi. Sui valori giustizialisti e su quelli… immobiliari.
Saranno usati contro di lui?
Bien sur. Come è noto esiste Montecarlo. E non è una tv…”

“Aumentano le incognite e i dubbi che nessuno controlli la situazione” di Massimo Franco. Qui, pag. 88.

“Fini non è sfiduciabile. Ma il conflitto istituzionale può aprirsi sul voto anticipato” di Claudio Sardo. Qui, pag. 90. Da cui estraggo:

“Forse il caso che Berlusconi poteva sollevare con maggiore convenienza era quello di Giuseppe Saragat, che lasciò la presidenza dell’Assemblea costituente dopo aver guidato la scissione di Palazzo Barberini (era il febbraio ’47 e al suo posto venne eletto Umberto Terracini)”

“Il pericolo è la sua vendetta” di Vittorio Feltri. Qui, pag. 91.

“Ma Saragat e Pertini al suo posto si dimisero” di Paola Setti. Qui, pag. 96.

“Quei precedenti ignorati da Fini” di Francesco Damato. Qui, pag. 97. Da cui estraggo:

“Un altro precedente parlamentare non proprio favorevole all’arroccamento del presidente della Camera è costituito dalle dimissioni da presidente del Senato che Cesare Merzagora presentò nel 1967, e che furono accettate, per avere espresso critiche e preoccupazioni, non gradite nella maggioranza di governo, sull’attuazione delle Regioni. Ed era Merzagora, con 14 anni di presidenza del Senato alle spalle,
un liberale, peraltro dichiaratamente ateo, che la Dc si era sempre onorata di candidare alle elezioni nelle sue liste come indipendente sino al 1963, quando fu nominato senatore a vita.”

“Fini, spieghi o lasci” di Franco Bechis. Qui, pag. 99. Da cui estraggo:

“La casa di Montecarlo dove oggi vive Giancarlo Tulliani, cognato di Gianfranco Fini, è valutata dalle principali agenzie immobiliari del principato di Monaco 3 milioni di euro.
Fino al 2008 è stata di Alleanza Nazionale che l’aveva ricevuta in donazione testamentaria nel 1999 dalla contessa Anna Maria Colleoni. Quell’anno è stata venduta. Il bilancio di Alleanza Nazionale ne fa un rapido cenno nella nota integrativa per spiegare un provento straordinario di 67.445 euro: “inerisce la dismissione di un residuo cespite immobiliare dei lascito Colleoni. Che si tratti dell’alloggio a Montecarlo è evidente per due ragioni. La prima. viene dagli stessi bilanci di An.”

“C’è uno Scajola nel Principato” di Maurizio Belpietro. Qui, pag. 111.

” Bossi: “Pronti ad impedire i governi tecnici, senza democrazia ci pensiamo noi”. Qui.


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4 Comments

  1. Commento by Mario Di Monaco — 31 Luglio 2010 @ 13:18

    Il Corriere della Sera, La Repubblica e gli altri giornali che hai citato tacciono per un semplice motivo. Hanno deciso, evidentemente tutti assieme, che la questione morale non è  più una priorità del paese. Le sensibilità cambiano in funzione degli obiettivi.
    L’impegno massimo deve essere dedicato alla preparazione del terreno necessario ad insediare l’armata brancaleone e vanno assolutamente evitate inutili distrazioni.
    La morale è un abito che dopo un pò passa di moda.

  2. Commento by gianniguelfi — 31 Luglio 2010 @ 17:03

    Correva l’ anno 1997, mese di novembre.
    Si era ai primi del mese e, del tutto inaspettatamente, Vittorio Feltri, allora direttore del Giornale, confessò in prima pagina che la campagna di denigrazione che per 18 mesi aveva condotto contro Di Pietro, era basata sul nulla, su un cumulo di ipotesi senza prove e mai provate.
    La confessione del direttore fu come un fulmine a ciel sereno e colse i maggiorenti del Polo del tutto di sorpresa, scatenando le proteste di Giuliano Ferrara (si era alla vigilia delle elezioni nel Mugello che vedevano il direttore del Foglio contrapposto all’ ex magistrato).
    Feltri prima precisò di aver preso la decisione assieme all’ editore Paolo Berlusconi, timoroso di dover sborsare altre centinaia di milioni in risarcimenti a Di Pietro (Tonino ne aveva già intascati 400, frutto di una precedente querela a Feltri), poi si dimise dalla direzione del quotidiano.
    Quell’ esperienza sembra non aver insegnato nulla al prode Littorio, che da quando è tornato al Giornale ha ripreso ad infamare a destra e a manca gli avversari del suo padrone.
    Ecco, sulla vicenda, alcuni articoli dall’ archivio del Corriere (purtroppo l’ archivio del Giornale non arriva fino al 1997)

    A SORPRESA E’ PACE TRA DI PIETRO E FELTRI
    http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/ sorpresa_pace_tra_Pietro_Feltri_co_0_9711098410.shtml

    SILVIO BERLUSCONI: SCUSO FELTRI PER LE BUGIE
    http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/08/ Berlusconi_scuso_Feltri_per_bugie_co_0_97120810613.shtml

    PAOLO BERLUSCONI: “FERRARA SCUSA, AVRESTI PERSO LO STESSO”
    http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/11/ Paolo_Berlusconi_Ferrara_scusa_avresti_co_0_9711115109.shtml

     

    E con questi precedenti, e gli infiniti altri che son seguiti ultimo il caso Boffo, lei signor Di Bartolomeo vorrebbe che qualcuno prendesse ancora sul serio le balle di Feltri?

     

    g

  3. Commento by Ambra Biagioni — 31 Luglio 2010 @ 17:27

    Qui l’articolo sulle mosse di Storace

  4. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 31 Luglio 2010 @ 17:53

    Anche Franco Bechis di Libero sta indagando e giunge alle stesse conclusioni.
    Ma a chiarire le cose ci vuol poco, basta che Fini dica come stanno le cose. Gli amministratori di An dicono di non ricordarsi della faccenda. In bilancio, però, per l’appartamento hanno registrato la vendita per la modica cifra di euro 67.445. L’appartamento è nel centro di Montecarlo, ca 75 mq. Si profila intanto una clamorosa evasione fiscale.

    Il presidente della Camera non può tacere.

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